Il gioco è una cosa seria. Anzi, tremendamente seria. - Jean Paul
Estratto dalla pubblicazione “Un calcio insieme” dello Psicologo - Psicoterapeuta dott. Giuseppe Costabile, che ha curato per molti anni l’attività sportiva del CDR Gulliver.
«[...] Nello svolgere un'attività ludica, noi tutti, più o meno consapevolmente, esprimiamo, ritualizzando e legittimando, la necessità di soddisfare una varietà di stimoli, desideri e tensioni affettive, che, altrimenti, non troverebbero un'opportuna norma espressiva, né una condivisa situazione sociale nella quale agire, né un territorio ostile da conquistare, né un nemico da sconfiggere.
Questo è il dato di fondo che gli studi, in prevalenza di psicoanalisi infantile, hanno evidenziato recentemente, sottraendo, svincolando e riscattando questo aspetto fondamentale della nostra esistenza da concezioni semplicistiche quanto riduttive e mortificanti del gioco come "passatempo" o "perdita di tempo". [...] Si può capire allora l'importanza e l'universalità del fenomeno e si comprende, pertanto, come anche nella riabilitazione psicosociale le varianti più tradizionali del gioco trovino un terreno di grande validità applicativa ed una favorevole correlazione socioterapeutica.
Guardiamo alle cose: il gioco, e lo sport emblematicamente, sono uno scenario ove si rappresentano e si scambiano emozioni che altrimenti rimarrebbero nascoste o non meglio riproducibili su altri piani d'incontro (d'intersoggettività). [...] Nel gioco le fondamentali motivazioni umane, quali sono gli stimoli alla socialità, all'affermazione, alla sessualità, all'aggressività e alla conoscenza, tendono a mobilitarsi insieme o ad alternarsi. Esse sono drammatizzate in forme simboliche e valutate in un sistema di regole, garantendo così la legittimità d'azione e proteggendo i partecipanti dai pericoli della loro assenza. [...] Elementi di violenza sono, per così dire, connaturati all'esistenza, costitutivi del nostro stesso essere uomini; la pratica sportiva [...], nell'assegnare limiti e regole, attenua e ritualizza la loro presenza e portata, piuttosto che innescarli.
Per quanto indesiderabili o mal conciliabili con i nostri modi di rappresentarci, i sentimenti distruttivi e violenti sono li, pronti a ritornare alla luce più minacciosi, sovradimensionati e angosciosi quanto più li neghiamo o li teniamo distanti e sommersi. [...]
Il dispositivo dell'attività ludica e sportiva ci viene in soccorso promuovendo una sana cultura dell'aggressività e favorisce particolarmente le persone che, massimamente ed in modo lacerante, sperimentano l'insofferenza ai propri contenuti "negativi" [...]. Con gli psicotici, che portano impressi ed enigmatici i segni di un'oscura sofferenza umana, condividiamo un tempo e un diritto a giocare e nel far ciò, essi recuperano i simboli e la partecipazione al sociale, attenuando ed accettando così alcune loro valenze autodistruttive, canalizzandole in una corretta e catartica attività sportiva: il calcio.»
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